#1 - Kiki Smith - Ophelia

Questo scritto è parte del progetto "Viridiana", rubrica dedicata alla divulgazione della poetica di artiste contemporanee attraverso il racconto e la lettura di un trittico di opere.
Every fiber of her body is about art. She can’t do anything but what she does
Sono le parole di chi ha avuto il piacere di assistere alla forza creatrice di Kiki Smith, a rimarcare che l’arte di Kiki è insita nella sua pelle e nel suo esistere.
Figlia di Tony Smith, rinomato artista minimalista, e di una cantante lirica e attrice, sorella di due gemelle, la Smith trascorre l’adolescenza immersa in un universo creativo che foraggia la sua verve artistica.
All’età di 20 anni non può fare che ciò che fa, ovvero esprimersi attraverso l’arte, sperimentando differenti tecniche come il disegno, l’incisione, la scultura a cera persa, l’arazzo, il cliché-verre. Una miriade di tecniche che riconducono a ossessioni artistiche ben delineate: il corpo, la morte, la donna e il suo intimo collegamento con la natura.
L’arte non è un evento accidentale per Kiki, ma sarà difficile per lei darne conto a chi chiede spiegazioni a proposito: l’arte la bacia e forgia il suo linguaggio espressivo, il modo attraverso cui comunica con il mondo. E le opere che ne derivano non possono che essere intrise degli umori dell’artista, letteralmente.
Perderà una sorella negli Ottanta per colpa dell’AIDS e in quegli anni il corpo e gli organi interni saranno la sua ossessione: come un’architettura destrutturata, il corpo si apre e si espone mostrando viscere e organi in sculture che sfidano i limiti della pelle e del realismo (Digestive System, 1988) e che parlano di una condizione umana fragile ma allo stesso tempo disgustosa.
Kiki eleva il sangue a pigmento artistico, scolpisce donne in cera che spargono a terra liquido mestruale (Train, 1993), donne carponi che defecano (Tale, 1992). Non c’è vergogna nella sua arte, né senso di pudore.
Per questa sua militanza scatologica nella biologia muliebre, la Smith è assunta nel novero delle artiste femministe: riporta il corpo delle donne a uno stato biecamente fisiologico, accecando la brama dell’occhio maschile e distruggendo la corrispondenza tra l’aggettivo “femminile”e “grazioso”.
Kiki, nel tempo, darà al suo operato artistico questa spiegazione
Sto solo cercando una collisione di sentimenti
Con il trascorrere degli anni la sua ricerca smorza i toni e va a confluire verso un sentimento panico e pacifico: la donna diviene materia naturale, figlia di lupi e daini, riverbero di costellazioni, un essere selvatico che abita i boschi.
A Palazzo Reale le opere d’arte della collezione Iannaccone presentano ottanta artisti contemporanei che dialogano sul filo rosso delle emergenze socio-culturali della nostra epoca: dall’identità di genere al multiculturalismo, dal rapporto tra innovazione e tradizione alla condizione umana nelle sue molteplici sfaccettature. Kiki Smith è presente con numerose opere in dialogo con le opere di Giulia Cenci con cui condivide anche la riflessione sul legame tra mondo umano e animale.
L’opera che voglio raccontarvi è una piccola scultura dell’eroina shakespeariana Ofelia, una giovane donna che si abbandona in un fiume fino a trovare la pace dei sensi nella morte volontaria.
Figura iconica, Ofelia è stata il soggetto prediletto di molti artisti uomini in virtù della sensualità emanata dalla figura inerme, dell’arrendevolezza che si riconosce spesso al cosidetto “sesso debole”.
Forse è proprio lo stridore tra questa icona dell’acquiescenza e le impattanti figure femminili della prima produzione artistica della Smith ad aver solleticato la mia curiosità.
L’Ofelia di Kiki Smith è lontana dall’elemento naturale; a dispetto delle altre, la riconosciamo per la posizione supina che fende l’aria con un arco appena accennato del corpo. Un salto all’indietro per abbandonarsi all’ignoto con fiducia.
Maddalena penitente, succube della propria emotività, questa Ofelia dal corpo incorrotto sembra volersi risvegliare da un momento a un altro; forse è dentro un sogno immaginando il suo amore che le scorre fra i capelli e leviga il sul corpo che diviene puro come un cristallo.
E non mi basta
Nuotare nell'aria per immaginarti
Credo che nel sonno lei sussurri queste parole, le canti al nessuno che le è accanto. Perché Ofelia è unica nel suo dolore e per sublimarlo sa che deve trascendere l’incessante scorrere del reale, per potersi riconciliare un domani con il mondo stesso.
Questa Ofelia rifiuta l’inevitabilità degli accadimenti perché ha ancora la possibilità di risorgere, annegando nel profondo del suo io e annaspando nei flutti dei pensieri e delle ossessioni. Una catarsi doverosa per tornare a camminare sulle acque infette del mondo senza farsi risucchiare dalle correnti della passione.
Nulla è già stato scritto, Ofelia è ancora padrona del suo destino e può tornare a far collidere i suoi sentimenti in una nuova vita: lei salta e pone la propria volontà attiva in questo momentaneo auto esilio dall’esistenza. La voglia di rinnovarsi è testimoniata dall’uovo dorato, simbolo di rinascita e creazione, che la scultura - in un’altra edizione della Collezione Iannaccone - mostra nella mano sinistra.
DA CINDY SHERMAN A FRANCESCO VEZZOLI. 80 artisti contemporanei
a cura di Daniele Fenaroli
Milano, Palazzo Reale
7 marzo - 4 maggio 2025