Le forme dell'ospitalità

Veronica Billi

a cura di Martina Lolli
10 - 24 maggio 2019
Fondazione Sassi - Matera

La collettiva si muove sul filo rosso del pane rimettendo in atto il principale processo chimico che, di cultura in cultura, lo ha portato alla forma dei nostri giorni: la lievitazione.
La lievitazione è qui intesa come crescita e fermentazione, non strettamente legata al tema delle opere in mostra, ma diviene modus operandi dell’esposizione, modalità di attivazione di un processo sociale che si declina nelle “forme di ospitalità. 
Il pane, da sempre simbolo di accoglienza e condivisione, è qui la ragione intrinseca alla mostra, un algoritmo da cui essa si genera e prolifera.
L’esposizione declinerà l’ospitalità in tre forme differenti: ogni artista ospiterà un altro artista all’interno dello spazio della propria opera o dello spazio espositivo a lui dedicato; il curatore ospiterà un altro curatore offrendo una parte dello spazio curatoriale; la richiesta di ospitalità che gli artisti faranno agli abitanti di Matera, attraverso una call, chiedendo loro aiuto attraverso il prestito, per le due settimane di apertura della mostra, di oggetti del nostro orizzonte quotidiano.
Così, l’esposizione sarà luogo di passaggio di storie e narrazioni differenti, sposerà la coralità di un pasto condiviso e la naturalità di una lievitazione che segue le leggi del luogo, dove il pane sarà richiamato nella sua dimensione simbolica di collante sociale.
Le opere esposte - a firma di Lorenzo Bartolucci, Veronica Billi, Valentina Durante, Noa Pane, Giulia Rebonato - intendono restituire ai fruitori il senso di accoglienza, far riaffiorare all’interno del sasso che le ospita la sua innata dimensione domestica, rievocandone la natura abitativa e la propensione all’ospitalità, attraverso l’allestimento e l’interazione fra opere e visitatori.

Valentina Durante

“Le forme dell’ospitalità” come opere d’arte

Il critico d’arte e curatore francese Nicolas Bourriaud, proprio tra le prime pagine del suo saggio più famoso e discusso, Estetica relazionale del 1998, esordiva ponendo all’attenzione del lettore un interrogativo alla cui soluzione provvederanno le argomentazioni dell’intero libro: «[…] la problematica più attuale dell’arte di oggi: è possibile generare ancora rapporti con il mondo, in un campo pratico – la storia dell’arte – tradizionalmente destinato alla loro “rappresentazione”?». La risposta era senza dubbio affermativa e argomentata attraverso il racconto e la lettura critica di una certa generazione di artisti e delle mostre da questi realizzate. Infatti, nonostante si possa affermare – scrive Bourriaud – che l’arte sia da sempre «relazionale a diversi gradi, cioè fattore di partecipazione sociale e fondatrice di dialogo», nel caso di Rirkrit Tiravanija, Philippe Parreno, Felix Gonzalez-Torres e altri, «lo spazio in cui le opere si dispiegano è interamente quello dell’interazione». Una forma d’arte relazionale consisteva nel coinvolgimento attivo di tutti gli agenti che concorrono a creare o a far funzionare l’opera, oppure la mostra vera e propria: gli artisti miravano al coinvolgimento di altri artisti, dei curatori, dei critici, ma soprattutto del pubblico il cui ruolo diventava fondamentale per la buona riuscita dell’intero processo artistico (esso doveva intervenire, toccare, azionare, assaggiare l’opera). La Fondazione Sassi ospita un progetto – ideato e curato da Martina Lolli – che in qualche modo prende le mosse da quel tipo di idee sviluppate da una compagine di artisti a partire dagli anni Novanta, per proporre un esperimento molto particolare in un luogo e in un tempo precisi: a Matera, Capitale Europea della Cultura del 2019, e con i materani. L’allestimento della mostra e le opere stesse sono testimoni di un lavoro e di uno sforzo creativo condiviso fra gli artisti, il curatore e il pubblico. Dunque, l’opera d’arte “complessiva” è data qui dal rapporto che si crea fra più persone mentre ciascuna offre il proprio contributo per un obiettivo corale. Il senso di una dimensione intima, accogliente, genuina, è amplificato dall’evocazione di un elemento come il pane – che è simbolo culturale, e nondimeno religioso, potentissimo di condivisione e fraternità – attorno a cui ruota l’idea della mostra e che è esplicitamente citato in alcuni dei lavori esposti anche in riferimento alla sua fase di lievitazione intesa come «crescita e fermentazione». Se il processo chimico della lievitazione rappresenta il naturale passaggio affinché gli ingredienti base – farina e acqua – si trasformino e maturino donando all’alimento il gusto e l’aspetto con cui lo apprezziamo abitualmente, il “legante” fornito dall’arte funziona all’interno di questo progetto espositivo come attivatore, individuale e collettivo, di un sentimento di umanità e di fiducia ispirato dal concetto stesso di condivisione e di ospitalità, appunto. Fuor di retorica, ciò ci induce a riflettere sulla natura dei rapporti sociali che viviamo nel nostro presente, probabilmente ancor più a rischio di atrofizzazione rispetto agli anni Novanta quando tanti artisti sentirono il bisogno di promuovere un’arte relazionale poi teorizzata da Bourriaud.
Di certo tale riflessione riuscirà a rievocare soprattutto negli abitanti di Matera quell’antica, peculiare, atmosfera domestica e fortemente comunitaria che un tempo si respirava fra i Sassi.

Valentina Tebala

ph Domenico Fornarelli